Riconoscere gli errori commessi nella vita coniugale non è motivo di addebito della separazione

Riconoscere gli errori commessi nella vita coniugale non è motivo di addebito della separazione
10 Maggio 2016: Riconoscere gli errori commessi nella vita coniugale non è motivo di addebito della separazione 10 Maggio 2016

La moglie chiede l’addebito della separazione al marito, producendo in giudizio alcune lettere di ‘scuse’ che questi le aveva scritto durante il matrimonio. Secondo la prospettazione della donna, infatti, le lettere “contenenti autocritiche nei quali il marito confessava (rectius riconosceva) di aver sbagliato e di aver tenuto un comportamento sgarbato” avevano “certamente natura confessoria” e perciò idonee a motivare l’ addebito della separazione a carico del marito. Il Tribunale di Perugia, nel dichiarare la separazione personale dei coniugi, rigettava la domanda di addebito. La decisione veniva impugnata dalla donna avanti la Corte d’Appello, ma veniva confermata anche in secondo grado in quanto le lettere del marito “sarebbe(o) irrilevanti ai fini della pronuncia di addebito a carico del marito”. La moglie ricorreva quindi in Cassazione che, tuttavia ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che il Giudice di merito avesse correttamente valutato circa le prove acquisite ai fini di escludere l’addebito richiesto. Per la Suprema Corte infatti quelle lettere “non attestano alcun fatto violativo di doveri coniugali trattandosi di autocritiche (essere stati sgarbati o aver avuto un comportamento sbagliato) compiuto in un contesto riservato e con riferimento ad una relazione quale quella matrimoniale in cui abitualmente il comportamento dei coniugi esprime luci ed ombre” (Cass. civ., sez. VI, 22 aprile 2016, n. 8149). Inoltre, la Cassazione con la medesima pronuncia ha ricordato che “per costante giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di separazione personale dei coniugi, ed al fine dell’addebitabilità della separazione, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell’art. 2730 c.c., ma possono essere utilizzate – unitamente ad altri elementi probatori – quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili, sempre che esprimano non opinioni o giudizi o stati d’animo personali, ma fatti obiettivi, suscettibili, in quanto tali, di essere valutati giuridicamente come indice della violazione di specifici doveri coniugali (ex multis, Cass. civ. 22786/2014)”.Per la Cassazione quindi l’aver ammesso gli errori compiuti nella vita coniugale, di per sé solo, non integra la confessione di un comportamento violativo dei doveri coniugali di rilevanza tale da aver reso intollerabile la prosecuzione della relazione coniugale. Anzi, per gli Ermellini l’unico significato da attribuire alle dichiarazioni del marito contenute in quelle ‘lettere’ è quella di “assunzione della scelta della scelta di interrompere il legame coniugale il che equivale all’esercizio di una libertà fondamentale quale quella di autodeterminarsi nella conduzione della propria vita familiare e personale”, che certamente non è tale da giustificare una pronuncia di addebito della separazione. Ovviamente viene da chiedersi se la decisione sarebbe stata diversa se, nelle proprie ‘confessioni’ epistolari, l’interessato avesse riconosciuto d’aver compiuto azioni tali, invece, da giustificare l’addebito, con riferimento a fatti ben determinati…

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